Ducati People

Episodio 2
Casey Stoner

Casey Stoner è un nome che non ha bisogno di presentazioni. Negli ultimi anni il due volte campione del mondo australiano ha però scelto di essere più Casey e meno Stoner, per costruirsi la dimensione professionale che gli permettesse di conciliare sfera privata, ritmi sostenibili e impegni nelle due ruote. Un equilibrio che oggi trasmette a prima vista, incontrandolo. Casey è proprio così come appare: una persona limpida, gentile, più matura della sua età anagrafica, che mette rispetto e correttezza davanti a tutto il resto, anche se nella grande macchina del MotoGp la sua riservatezza e le sue scelte sono spesso sembrate poco convenzionali. Abbiamo fatto con lui una lunga chiacchierata informale sugli aspetti più personali del suo lunghissimo legame con le moto e sul suo stimolante ritorno in Ducati. Ecco cosa ci ha raccontato.

Casey, tuo padre è sempre stato un motociclista e anche tua sorella maggiore andava in moto sin da quando era una bambina. La tua passione per le due ruote è proprio un’eredità di famiglia…

Sì, in un certo senso. Mio padre preparava motori e correva, ma non in maniera professionale, e mia sorella ha cominciato ad andare in moto molto presto. Alla fine lei ha smesso, e dopo poco è arrivato il mio “turno” di portare a casa delle soddisfazioni in questo ambito. È così che questa passione è nata, per me.

Hai cominciato quando avevi solo tre anni, sulla moto di tua sorella, giusto? Qual è il tuo ricordo preferito di quel periodo?

Beh, ero molto piccolo. Ma guardando le foto di quel periodo si capisce che la moto mi piaceva più di ogni altra cosa. Volevo andarci a tutte le ore del giorno. L’unico limite era la benzina nel serbatoio! Quando poi sono diventato abbastanza grande per avere ricordi nitidi, ero già molto competitivo, mi impegnavo con tutte le mie forze per essere migliore. Ma i ricordi più belli sono legati ai momenti in cui mi godevo la moto con amici e famiglia. Per esempio divertendoci tutto il pomeriggio su un piccolo tracciato…

La tua famiglia ti ha sostenuto e incoraggiato molto; tuo padre ti era molto vicino, durante i tuoi progressi. Qual è la lezione più importante che hai imparato in quegli anni?

Avendo cominciato da piccolo, furono ovviamente i miei genitori a mettermi sulla moto, col desiderio di vedermi arrivare in alto. Questo mi ha insegnato che nessuno arriva da nessuna parte senza qualcuno al proprio fianco: un genitore, o qualche buon amico o sponsor. È la passione in comune con altri a farci raggiungere grandi risultati nella vita.

Hai iniziato sulle piste sterrate, sulle quali hai corso fino ai quattordici anni, giusto? Ha avuto qualche effetto sul tuo stile, soprattutto dopo il tuo passaggio al MotoGP?

In Australia fino ai 14 anni ci sono solo dirt tracks o motocross, niente minimoto o simili come in Europa. Dalla guida su sterrato ho imparato molto, però. Anche se mi ci sono voluti vari anni per acquisire la stessa fiducia dei piloti europei in pista. Quando sono arrivato nelle categorie superiori, in compenso, è diventato molto più facile per me, perché potevo gestire la trazione anteriore sfruttando la forza della posteriore.

Avevi un eroe, un pilota a cui ti sei ispirato particolarmente importante per te?

Mick Doohan è sempre stato il mio modello, sin da quando ero molto piccolo. Da prima che vincesse il Motomondiale e prima dell’incidente in cui si ruppe una gamba. Il fatto che dopo sia riuscito a tornare e a vincere per molto tempo lo riconfermò ai miei occhi come il miglior pilota di sempre: il tipo di persona che volevo emulare. Abbiamo anche corso insieme. È stato per me un privilegio poterlo conoscere!

Nel 2012 hai preso l’impegnativa decisione di ritirarti dalla MotoGP al culmine della tua carriera. Poi la tua passione ti ha spinto a tornare, per Ducati.

Sì, è stata una scelta importante, non l’ho presa con leggerezza. A quel tempo, nel 2009, avevo dei problemi di salute, continuavo a stancarmi in pista. Poi scoprimmo che ero intollerante al lattosio: quindi non assorbivo i nutrienti che mi davano energia. Risolto il problema, la mia vita è cambiata in meglio. Ma a quel punto avevo capito anche che c’era una vita più grande fuori dalla pista e che il successo sportivo non era tutto per me. Una decisione difficile, ma di cui sono ancora soddisfatto.

Anche tornare in Ducati è stata una sfida, una decisione di cuore. Sentivo di poter contribuire alla crescita di Ducati, volevo lavorare per ottenere nuove vittorie insieme. Tornare ha significato ritrovare persone con cui ho condiviso grandi risultati e bellissimi ricordi. Davvero una bella sensazione. Quando si lavora con persone di cui ti fidi, come è stato per me in Ducati, stringi un tipo di relazione che si vede anche in pista. Tornare in Ducati è stato un po’ come tornare a casa.

Come è cambiato il Casey Stoner che guidava le Desmosedici rispetto allo Stoner di oggi?

Quando gareggiavo ogni piccolo dettaglio poteva fare la differenza. Hai un team alle spalle che lavora duramente, un’intera azienda che si aspetta molto da te, e per un tuo errore si può perdere una corsa o un campionato. Oggi posso godermi di più il lavoro in pista, senza la pressione che vivevo prima. Sono molto soddisfatto quando otteniamo una vittoria o corriamo una bella gara, perché so di avere contribuito a dare ai piloti gli strumenti giusti per vincere una sfida. I miei valori in realtà non sono cambiati. Ma ora ho una grande energia per fare al top quello che facciamo: migliorare le moto.

Tutti gli appassionati Ducati sono molto legati al titolo mondiale vinto con te nel 2007. Ci racconti un dettaglio divertente di quel momento speciale?

La vittoria del 2007 è stata un momento incredibile. Dopo brevi festeggiamenti siamo andati in hotel, abbiamo fatto i bagagli e siamo saliti sul bus per raggiungere la tappa successiva. L’autista ha deciso di non prendere l’autostrada. Io non avevo mangiato niente, e avevamo bevuto un po’ di champagne per festeggiare, così per il mio stomaco quelle due ore di bus su strade tutte curve verso l'aeroporto sono state un vero incubo. Lo ricordiamo ancora, ridendoci su… Dopo la vittoria a Valencia abbiamo festeggiato con più calma. C’era uno straordinario entusiasmo in Ducati e tra i Ducatisti.

Probabilmente ora hai più occasioni per andare in moto per il puro piacere di farlo. Che motociclista sei nel tempo libero?

Non ho alcun bisogno di andare veloce, per quello c’è la pista. Quindi posso semplicemente andare in giro, o fuori strada, e scoprire nuovi percorsi. Posso finalmente godermi gli sterrati come una volta, una delle cose che amo di più. Ora ho sia la fortuna di testare moto straordinarie, sulle piste, sia quella di andare in moto con gli amici, nella natura.

Qual è la lezione più importante che hai imparato dal motocliclismo?

Beh, ho imparato molto dalle sconfitte: ad esempio come interagire con avversari e compagni, che penso sia utile in generale nella vita. Prima mi difendevo da quelli che percepivo come attacchi, mentre ora ho imparato ad accoglierli e a sfruttarli per migliorare. La moto mi ha aiutato a capire persone e situazioni differenti, ad accettare i pareri degli altri, a vivere meglio.

La tua primogenita, Alessandra: così piccola è già una perfetta motociclista. Sei orgoglioso?

Sì, mia figlia ha sei anni e mezzo e va in moto da quando ne ha tre, ma non tutti i giorni né tutte le settimane. È più interessata alla danza… Qualche volta andiamo in moto insieme e ci divertiamo molto. Non voglio spingerla sulle due ruote solo perchè lo faccio io. Penso che nella vita farà altro, ma vorrei essere io a insegnarle ad andare in moto. La moto comunque farà sempre parte della nostra famiglia.

Cosa vorresti trasmettere alle tue figlie del mondo delle moto?

Vorrei semplicemente che amassero le moto a modo loro. Per ognuno è diverso, che sia lo stile, le emozioni che ti regala in fuoristrada o sulle piste, l’avventura, la velocità, o la meccanica. Mi piacerebbe che andassero in moto insieme, ma non voglio mettere loro alcuna pressione. Vediamo cosa ci porterà il futuro!